GIACOMO BALLA
Futurista....il signore della luce


Giacomo Balla è stato l’artista italiano fondatore del movimento futurista in pittura.

Nato il 24 luglio 1871 a Torino e morto il 1 marzo 1958 a Roma, nei suoi dipinti raffigura la luce, il movimento e la velocità. E sarà proprio l’espressione del movimento l’argomento cardine delle sue opere argute e stravaganti, non interessandosi mai alle macchine o alla violenza come fecero altri artisti futuristici del suo tempo.

La sua vita in breve

Balla aveva poca formazione artistica formale, avendo frequentato brevemente un’accademia a Torino e si trasferì a Roma prima di compiere vent’anni. Fu notevolmente influenzato dal neoimpressionismo francese durante un soggiorno che fece a Parigi nel 1900 ed al suo ritorno a Roma, adottò lo stile neoimpressionista influenzando due artisti più giovani, Umberto Boccioni e Gino Severini.

Nel primo periodo le opere di Balla sono in linea con le tendenze francesi del tempo, ma è già presente l’interesse, che lo accompagnò per tutta la vita, verso la luce e come rendere i suoi effetti.

Balla, Boccioni e Severini caddero gradualmente sotto l’influenza del poeta milanese Filippo Marinetti, che nel 1909 lanciò il movimento letterario che chiamò Futurismo, che era un tentativo di rivitalizzare la cultura italiana abbracciando il potere della scienza moderna e della tecnologia.

Punto cardine dell’arte futurista è sicuramente la pubblicazione nel 1910 del “Manifesto tecnico della pittura futurista” a cura essenzialmente di Giacomo Balla.

A differenza della maggior parte dei futuristi, Balla era un pittore lirico, non interessato alle macchine moderne o alla violenza. Nell’opera “Lampada ad arco” del 1909, per esempio, è possibile notare la rappresentazione dinamica della luce.

Nonostante il suo gusto unico in materia, nelle opere come questa, Balla trasmette un senso di velocità e fretta che mette i suoi dipinti in linea con il Futurismo e con l’energia della vita moderna.

Durante la Prima guerra mondiale Balla compose una serie di dipinti in cui cercò di trasmettere l’impressione di movimento o velocità attraverso l’uso di piani di colore.

Oltre alla sua pittura, durante questi anni esplorò la scenografia, il design grafico e persino la recitazione.

Dopo la guerra rimase fedele allo stile futurista molto tempo dopo che gli altri praticanti lo avevano abbandonato e soltanto durante gli ultimi della sua carriera tornò ad uno stile più tradizionale.

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Giacomo Balla frequenta a Torino una scuola serale di disegno e, per due mesi, l’Accademia Albertina, dove conosce Bertieri che lo presenta a Pellizza da Volpedo. Nel 1895 si trasferisce a Roma, per poi trasferirsi a Parigi nel 1900, lavorando per l’illustratore Macchiati. Tornato in Italia, si serve della tecnica divisionista, guardando a Morbelli e Pellizza, con analoga attenzione a temi umanitari uniti all’interesse scientifico per gli effetti della luce, sia naturale, sia artificiale ("La giornata dell’operaio", 1904; "Lampada ad arco", 1909).

 Nel 1910 aderisce al Futurismo e sottoscrive il Manifesto dei Pittori Futuristi e il Manifesto Tecnico della Pittura Futurista; nel 1915 con Depero firma il manifesto Ricostruzione Futurista dell’Universo.

Nonostante l’adesione alle tematiche moderne, fino al 1912 continua a lavorare secondo uno stile di ispirazione divisionista.

 L’interesse per la cromofotografia di Etienne-Jules Marey e il fotodinamismo di Bragaglia è alla base della sua idea del Futurismo, fondata sulla scomposizione del movimento in stadi successivi ("La mano del violinista", "Dinamismo di un cane al guinzaglio"). Nel 1912-14 realizza i cicli delle “Compenetrazioni iridescenti” – composizioni totalmente astratte in cui riduce gli effetti della luce e della velocità a una purezza di forme geometriche – e delle “Velocità astratte”, immagini di automobili a forte velocità e di rondini in volo. Del 1915 è la serie delle “Dimostrazioni interventiste”, lavori di grande vivacità cromatica che riflettono l’entusiasmo patriottico dei futuristi per l’entrata in guerra dell’ Italia.

 Nei primi anni Venti crea opere di ispirazione costruttivista quali "Numeri innamorati", vicine alle immagini meccaniche di Pannaggi e Paladini. Dal 1925 alla produzione futurista si affiancano lavori che recuperano la figurazione, che diviene scelta esclusiva dalla metà degli anni Trenta.